Come trasformare un’auto in elettrica?
Una breve storia del retrofit in Italia
In Italia si è iniziato a parlare seriamente di retrofit elettrico con il Decreto Ministeriale 1 dicembre 2015 n. 219, noto come “decreto retrofit”.
È la norma che definisce cos’è un sistema di riqualificazione elettrica, come si omologa e come si installa.
Il decreto copre le categorie M1, M1G, M2, M2G, M3, M3G, N1 e N1G, quindi dalle autovetture ai minibus, bus e veicoli commerciali leggeri, inclusi alcuni fuoristrada.
Questa apertura normativa è nata grazie a un tavolo di lavoro tra Ministero e Confartigianato coordinata dalla Fondazione eV-Now!, la stessa che ha realizzato la celebre DeLorean DMC12 elettrica, diventata un simbolo in Italia.
Dal 2023, è attiva la piattaforma MIT per richiedere gli incentivi al retrofit, con un incentivo del 60% della spesa fino a 3.500 €. Non copre tutti i costi, ma rappresenta un importante segnale di supporto.
Cosa si può davvero convertire?
In teoria, tutto. Il motore elettrico è più compatto, e permette di distribuire meglio i pesi.
Le batterie e l’elettronica possono essere integrate nel sottoscocca, nel vano serbatoio, nel tunnel centrale o sotto il cofano.
In pratica, la possibilità di conversione dipende da vari fattori, ovvero:
- Spazi disponibili e rigidità strutturale
- Peso finale e baricentro
- Impianto frenante e sospensioni
- Climatizzazione di batteria, motore e inverter
- Sicurezza elettrica complessiva
Il decreto stabilisce che i componenti devono essere omologati per una o più famiglie di veicoli e installati da officine abilitate. Dopo la prova su strada, si aggiorna la carta di circolazione: solo così il retrofit è legalmente riconosciuto.
Ma non solo: esiste anche una via più “estrema”: calzare un’auto elettrica sotto una carrozzeria storica. È una pratica reale, ma complessa. Alcuni progetti utilizzano il telaio o il pianale di un’auto elettrica di serie, montandovi sopra una carrozzeria storica. Sicuramente porta molti benefici, come una integrazione perfetta di powertrain, freni e sistemi di sicurezza moderni, oltre a tempi di messa a punto più rapidi. D’altra parte, però, esistono numerose controindicazioni riguardo a questa pratica, prima tra tutti la perdita dell’identità storica del veicolo, oltre che un iter di omologazione più complesso e costoso.
Il DM 219/2015 copre retrofit con sistemi omologati, non ricostruzioni totali: per queste si entra nel campo dei veicoli in unico esemplare (art. 75 CdS).
È una soluzione perfetta per prototipi o show car, ma non sempre praticabile per l’uso quotidiano.
Burocrazia e costi: cosa serve davvero sapere
La norma a cui bisogna fare riferimento in materia è la DM 219/2015 che definisce componenti minimi (come per esempio motore elettrico, inverter, batterie, BMS, sistemi di ricarica), stabilisce le responsabilità del costruttore del kit e, infine, prevede installazione in officina abilitata e aggiornamento del libretto post-collaudo.
Ma non è finita qui! È anche necessario tenere conto della sicurezza, che deve essere conforme ai regolamenti UN/ECE R100 (propulsione e batterie) e R10 (compatibilità elettromagnetica) e agli incentivi previsti, per i quali è bene far riferimento alla piattaforma MIT per richiedere i contributi, soggetti a finestre temporali e fondi disponibili.
Il costo è sicuramente un fattore tanto importante quanto variabile: in base alla vettura e alla qualità dei componenti, infatti, i costi possono oscillare notevolmente.
Oggi i riferimenti pubblici parlano di 5–7.500 € come base per utilitarie/minicar (al netto di incentivi), ma non esistono veri e propri “kit” acquistabili a banco. Solo un paio di imprese in Italia seguono questi progetti, con tempi d’attesa molto lunghi e costi spesso superiori (tra 10 e 15mila euro per una citycar).
Il range poi sale vertiginosamente ben oltre 50 mila € per veicoli più grandi o progetti curati (batterie più capienti, interfacce custom, freni/sospensioni rivisti).
Non è un intervento economico in quanto si tratta di artigianato ingegneristico, con tempi lunghi e progettazione su misura, ma sicuramente è un investimento che può dare i suoi frutti a lungo termine sia per il proprio portafoglio sia per il benessere del pianeta.
Retrofit elettrico: linee guida per un progetto ben riuscito
Realizzare un retrofit ben fatto richiede un approccio ingegneristico accurato, in cui ogni componente è scelto e integrato con coerenza. Il cuore del progetto è il gruppo motore e inverter, in cui la scelta di coppia e giri deve essere compatibile con il rapporto al ponte; inoltre, spesso si mantiene il cambio originale, talvolta bloccato o semplificando gli innesti per ottimizzare le prestazioni. Altro elemento importante è rappresentato dalla batteria elettrica, fulcro del sistema, la cui capacità va scelta in base all’uso previsto, con particolare attenzione al packaging, alla sicurezza, alla ventilazione e alla manutenzione, oltre a un BMS robusto e tracciabile.
La ricarica invece, generalmente affidata a un OBC monofase o trifase con porte standard, può prevedere anche la modalità DC fast, sebbene quest’ultima risulti spesso superflua per citycar o progetti di uso urbano. Sul fronte HV safety, è fondamentale curare sezionamento, fusibili, relè, sistemi di pre-charge, mentre per la EMC e i segnali si utilizzano cablaggi schermati e, se necessario, si eseguono le prove R10.
Anche la scelta dei componenti è un elemento fondamentale del processo. È possibile optare per elementi nuovi, più facili da certificare e con tracciabilità garantita, oppure per componenti “donor” provenienti da veicoli elettrici di serie, soluzione più economica ma che richiede competenze avanzate di reverse engineering, integrazione CAN e documentazione tecnica precisa. Una terza via è l’adozione di un pianale EV abbinato a una carrozzeria storica, opzione particolarmente interessante per auto di grande valore, anche se con un iter di omologazione e immatricolazione più complesso.
Infine, il quadro strumenti rappresenta l’anima estetica e funzionale del retrofit. È possibile rifare tutto digitale con display ad alta risoluzione (anche interfacce classiche stile Veglia Borletti, Magneti Marelli con grafica analogica simulata) o mantenere il quadro originale e costruire interfacce digitale-analogiche pulite, rimpiazzando le lampadine con LED e rimappando scale di carburante con il SOC, il contagiri con la potenza/rigenerazione, temperature con lo stato termico batteria.
È sicuramente la parte più delicata: deve piacere ed essere chiara, senza tradire l’anima dell’auto. E c’è un ingegnere ed un team dedicato a questo.
Check-list pratica:
Use case: città, weekend, eventi? L’autonomia reale che serve decide metà del progetto.
- Peso & baricentro: prima di comprare componenti, fate mock-up di volumi e percorsi cavi.
- Fascicolo tecnico: manuali, schemi, dati componenti, marchi di conformità: salvano mesi al collaudo.
- Officina abilitata e service: chi monta deve conoscere DM 219/2015 e i riferimenti UN/ECE.
- Budget: prevedi margine 15-20% per imprevisti (supporti, staffe, raffreddamento, cablaggi speciali).
In conclusione, oggi in Italia molti veicoli possono essere convertiti in elettrico in modo legale e sicuro.
La legge fornisce una cornice chiara, esistono incentivi e una filiera specializzata, ma il retrofit non è una scorciatoia economica.
È un’opera di ingegneria artigianale, fatta per chi ama la propria auto e vuole darle una seconda vita elettrica.
Se l’obiettivo è solo la mobilità a basso costo, una BEV di serie resta la via più semplice.
Ma se si parla di passione e identità, il retrofit è l’evoluzione più affascinante che un’auto possa vivere.